24 aprile 2016

«I 400 anni dalla morte di Shakespeare. Qualche suggerimento» di Nicola d'Ugo

Vivien Leigh nelle vesti di Lady Macbeth

Oggi ricorre il 400° anno dalla morte di William Shakespeare. Festeggiamenti in tutto il mondo in suo onore, a cominciare da Londra, la città in cui ha vissuto. Sempre ammesso che Shakespeare sia mai vissuto, ma diciamo di sì. Quel che ci resta è l'enorme mole di opere teatrali, tra le più belle e profonde che siano state scritte da sempre. Per chi sia interessato a conoscere le opere di Shakespeare, voglio suggerire qualcosa di utile, oltre ai tanti spettacoli teatrali che si tengono in Italia e che meritano di essere visti, anche quando siano realizzati da compagnie dilettantesche con pochi mezzi. Perché i mezzi scenici che usava Shakespeare erano davvero poveri, al punto che proprio per questo molto di quello che avviene in scena viene specificato dalle battute degli attori cui il drammaturgo ha dato voce. Ricordo qui, parafrasandola, una lamentela del tutto condivisibile che Helen Mirren fece decenni fa nel cuore del teatro shakespeariano in cui lavorava: troppi arredi, troppi costumi e macchinari, insomma così si uccide Shakespeare e il ruolo fondamentale che gli attori hanno nel suo teatro. Il teatro di Shakespeare, per quanta potenza evocativa abbiano i suoi testi, può essere rappresentato in un aia popolare coi vestiti di tutti i giorni, tanto per intenderci.

Per chi non legga l'inglese elisabettiano, le opere di Shakespeare occorre leggerle in traduzione. Questo è ovvio. Suggerisco al riguardo di leggerle nelle traduzioni di Agostino Lombardo, molto belle e adatte alla rappresentazione scenica, nel senso che le sue traduzioni funzionano bene per chi debba recitarle, in quanto sono molto poetiche, fluide e memorabili. Ma non mi fossilizzerei solo sulle traduzioni di Lombardo, cercherei di variare, di essere ‘curioso’. Per esempio, de La tempesta mi è sempre piaciuta soprattutto la traduzione di Salvatore Quasimodo. Oltre a questo dramma incantevole, leggerei per primi Amleto; Romeo e Giulietta; Macbeth; Sogno di una notte di mezza estate; Antonio e Cleopatra; Re Lear; Otello; Riccardo III; Enrico V; e Come vi piace, giusto per fornire un elenco di opere che piacciono a me. E poi gli incantevoli sonetti. Vale tutt’oggi come ieri un appunto di T. S. Eliot, il quale considerava Dante leggermente superiore a Shakespeare: Dante è più facile da tradurre, nel senso che Shakespeare è più «scivoloso» (uso un’espressione proprio di Shakespeare in Antonio e Cleopatra). Se in Dante è più rara l’oscurità di una frase, in Shakespeare molte frasi sono interpretabili in modi diversi, tutti densi di significato, per cui un traduttore è costretto a prenderne uno o due piuttosto che sette. Queste non sono questioni che possano interessare chi si avvicini al teatro shakespeariano, la cui dolcezza e violenza, la cui forza espressiva e critica dei vizi umani, dei sistemi di potere e dei sentimenti amorosi lo rendono uno dei più grandi autori dell’umanità. Dico solo che leggere traduzioni diverse può risultare davvero interessante, se si ami questa o quell’opera di Shakespeare. Per cui il mio consiglio è che vi scegliate le traduzioni che vi piacciono di più, perché siate voi a farne tesoro, buttando alle ortiche le questioni tecniche di noi poveri addetti ai lavori, che abbiamo a che fare con testi di Shakespeare che lui non scrisse mai così come li leggiamo integralmente, e che non furono portati in scena nella forma integrale in cui sono generalmente pubblicati. Shakespeare non pubblicò le sue opere in vita, per cui quello che ci resta sono opere straordinarie, scritte per gli attori, e modificate nel tempo. Come non esiste una Divina commedia autorizzata da Dante, non esiste neppure un’opera teatrale autorizzata da Shakespeare. Quando, per convenzione e comodo, leggiamo un dramma di Shakespeare diviso in atti e scene, beh Shakespeare, per quanto si sia capito, non li divideva in atti e scene, lasciava che le compagnie teatrali decidessero come spezzettare in scene i suoi drammi. Questo sia chiaro.

Dalle sue opere sono tratti una miriade di film. Più di 400. Shakespeare ha influenzato il teatro di tutto il mondo, ma anche la narrativa, la filosofia, la storia, la psicologia, il cinema e le arti figurative. Al punto che Dryden e Tolstoj scrissero pagine molto dure nei suoi confronti, oltre a farlo i contemporanei di Shakespeare. Pagine importanti anche per chi ami, anzi soprattutto per chi ami, la drammaturgia shakespeariana. È interessante notare il voltastomaco che Shakespeare procurava ad un genio tra i più grandi che la letteratura abbia avuto, proprio in misura delle motivazioni critiche severissime che Tolstoj riversava su Shakespeare, nonostante il fatto che il padre letterario di Tolstoj e degli altri grandi russi sia stato Puškin, che si rifece direttamente a Shakespeare per mettere al mondo la prima importante tragedia russa, il Boris Godunov. Questione di punti di vista di menti fini e stomaci sensibili.

Shakespeare non scriveva per esser letto. Il fatto che sia letto è dovuto all’aver superato i testi scritti per esser letti. Lui scriveva per il palcoscenico, per gli attori, che al suo tempo, per questioni di censura, erano tutti maschi. Giulietta era un maschio giovane che doveva sembrare un'adolescente. Shakespeare è stato uno scrittore di regime, sotto Elisabetta I e Giacomo I, questo non bisogna mai dimenticarlo. Le sue opere, le sue frasi, erano sotto il maglio della censura, rappresentata dal Lord Ciambellano, che poteva negare l’autorizzazione a che venissero messi in scena i suoi drammi. All’epoca, il teatro e il pulpito, l’espressione laica e religiosa costituivano la maggiore minaccia mediatica per lo stato inglese. Shakespeare che attacca la corruzione, gli intrighi di corte, la malizia, la violenza e la repressione deve farlo nelle forme accettabili dal regime inglese. Molti suoi drammi non sono ambientati di Inghilterra, ma soprattutto in Italia, o in Danimarca, o in contesti temporali precedenti, anche a costo di raffigurare la storia inglese in modo scorretto nei drammi storici. Riccardo III fu veramente così meschino e sanguinario come ce lo ha tramandato Shakespeare? C’è poco da dargli credito, al pari di Bonifacio VIII come ce lo descrisse Dante. La parola, e di qui le sue censure e autocensure (per Shakespeare, per Dante, come per Tolstoj), può uccidere più di una spada. Resta il fatto che la critica e l’esaltazione dei vizi e delle virtù umane in Shakespeare sono stupefacenti, al pari del suo linguaggio sboccato, osceno, senza peli sulla lingua, nonostante la censura politica. Shakespeare dice «cazzo» per cazzo e «fica» per fica, oppure «frega», «minchia» e «baldraccona», non ha remore alcune in tal senso, al pari del nostro Aretino. In temi politici, sessuali, affettivi, psicologici e sociali, Shakespeare è stato uno dei più attenti osservatori, uno dei maggiori conoscitori dei sistemi di comunicazione, informazione e spionaggio della storia, secoli prima di Orwell, Jakobson, McLuhan, Foucault o dell’attuale Snowden.

Per quanto riguarda le versioni cinematografiche e televisive, menziono qualche nome di registi e attori affatto notevoli da tenere a mente quando si voglia vedere un adattamento filmico dei drammi shakespeariani: Orson Welles, Laurence Olivier, Peter Brook, Franco Zeffirelli, Roman Polanski, Kenneth Branagh, John Gielgud, Paul Scofield, Derek Jarman, Vanessa Redgrave, Richard Burton, Anthony Hopkins, Judi Dench, Giorgio Strehler, Peter Hall, Helen Mirren, Vivien Leigh. Sono solo alcuni nomi importanti tratti da un repertorio di grandi interpreti relativamente recenti. Poi film molto belli, modernizzati o riscritti, che riprendono le trame o i testi di William Shakespeare sono Ran di Akira Kurosawa; Tempesta di Paul Mazursky, con John Cassavetes, Gena Rowlands, Susan Sarandon e Vittorio Gassman; L'ultima tempesta di Peter Greenaway, con Gielgud, la fotografia di Sacha Vierny e la colonna sonora di Michael Nyman; e i vari anti-Amleto di Carmelo Bene, naturalmente.

Per me il testo base per avvicinarmi a Shakespeare è stato il Manualetto shakespeariano di Gabriele Baldini, che lessi al liceo, ma che consiglio ancora, anche perché spiega molto bene come funzionava il teatro londinese dell'epoca e le innovazioni teatrali di Shakespeare. Come affermava Baldini, la rivoluzione drammaturgica di Shakespeare era superiore per spostamenti ambientali di quanto non fosse, in tempi più vicini a noi, la tecnica cinematografica del montaggio e dei cambiamenti ambientali e temporali. Shakespeare non seguiva le regole aristoteliche di unità di tempo, luogo e azione. Inoltre condensava decenni in pochi giorni nei drammi storici, in modo da offrirne il senso, come farà, a suo modo, Tolstoj in Guerra e pace, modificando dati storici sull’azione di Napoleone in Russia per renderne chiara, semanticamente, l’idea di fondo: una distorsione dei fatti storici che renda, in modo sintetico, la veritiera ricostruzione storica di quello che avvenne, senza spendere troppe pagine per raffigurarla. In questo, Shakespeare fu un sommo precursore, come Lukács mise in rilievo nel suo formidabile libro Il romanzo storico.

Un più recente manuale, oltre al quello di Baldini, che mi è piaciuto è Shakespeare. Genesi e struttura delle opere di Giorgio Melchiori, il quale fornisce alcuni aggiornamenti sul canone delle opere shakespeariane e propone un sunto delle trame dei singoli drammi. Per il resto leggerei solo singoli saggi su questa o quell'opera di William Shakespeare che vi interessa, per amore di cuore e conoscenza: per esempio quelli scritti da T. S. Eliot, Jan Kott, Mario Praz, W. H. Auden, Agostino Lombardo, Frank Kermode, Nadia Fusini o, più indietro nel tempo, da Samuel Johnson, Johann Wolfgang Goethe, Samuel Taylor Coleridge e Andrew C. Bradley. O anche le introduzioni che in genere accompagnano ogni pubblicazione di un dramma di William Shakespeare. Del resto di critica shakespeariana se ne trova a iosa. Sono pochi i grandissimi scrittori che non abbiano avuto da dire la loro, nel bene o nel male, sul genio letterario e drammaturgico di Shakespeare, il quale amava fare autocritica, e perfino ironizzare, sui mezzi stessi del linguaggio teatrale, della parola e dei pericoli delle sue simulazioni.

Nicola d'Ugo

(23 aprile 2016)

 

 

 

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